Lettera a Serena Nono
di Daniele Del Giudice

 

Cara Serena,
appena un anno fa guardavamo i tuoi quadri nuovi nello studio, ricordi? parlavamo delle mani. Tema delle mani, dicevo io, mani-figura, mani dai lineamenti, mani personaggio che proteggono il volto e ne custodiscono il mistero; mani, volti, spalle, venivano fuori improvvisi dal buio del quadro, dall’ombra, e all’ombra sembravano tornare quasi fossero una subitanea apparizione. Anche quest’anno ci sono quadri nuovi nel tuo studio, li guardiamo, e a me sembra che da quelle mani e da quelle teste sia cresciuto il corpo intero, sviluppando e dispiegando la tensione che prima era tutta lì, come un annuncio. Anche questo corpo, nasce nel quadro da te: autoritratto, che però è ritratto della specie, genere femminile, creatura nuova eppure primordiale, memoria e attualità del corpo, appunto.
Forse è per questa antichità del nuovo che le tue figure, adesso così stabili, affermano la loro presenza; o forse è per il fondo, dove il colore verde ha sostituito il buio, e la diluzione e la tessitura del pennello lasciano più aperte le maglie, fluidità e smagliatura del fondale, sfilacciatura che dà vita al corpo. Non c’è più la precarietà, l’eventualità dell’epifania, ma la storicità dello “stare”. Anche dello stare per, dell’essere sul punto di, stati di attesa, corpi sul limite del movimento. Così la donna seduta sui talloni, così la donna dalla testa piegata in avanti: attualità domestica, consuetudine esistenziale e al tempo stesso, radice antica e femminile delle cose, posso dire così? E dico bene se parlo di una costanza del tema, se ti dico che anche questi corpi, liberando ciò che prima era concentrato nei volti e nelle mani, trattengono a loro volta il gesto, ed è proprio questo trattenere che dà loro la forza , la bellezza?
Mani giunte davanti ai nuovi volti, braccia conserte delle nuove “dormienti”, più distesi i volti, le dormienti maggiormente abbandonate, ma qualcosa intanto delimita e protegge ancora il loro stare, o forse lo contiene, luogo di confine e di raccoglimento, nuova configurazione d’energia.
In questo modo , a me sembra, di quadro in quadro tu procedi, e di stagione in stagione cambi e permani, con sempre più talento e risultato, in una via del tutto personale e sorgiva lungo la quale non posso che seguirti ammirato, deluso solo per le parole che sempre inefficaci si arrestano sul bordo del quadro. Parole in piedi di fronte alla pittura, come ogni spettatore; osservano, ascoltano ciò che irriducibilmente non è parola, stupite e rallegrate dal parlare stesso e misterioso del tuo dipingere.

-Daniele Del Giudice

Daniele Del Giudice, da Lettera a Serena Nono, catalogo Galleria Traghetto, Venezia 1997