Il paesaggio interiore
di Victoria Martino
L’ARTE NON PUO’ ESSERE MODERNA; L’ARTE E’ ORIGINE ETERNA
– Egon Schiele, 1912
Serena Nono è internazionale; si sente a casa nella sua terra natia, Venezia, a Londra, città dove ha studiato, nei luoghi di provenienza della sua famiglia materna, Los Angeles e Vienna, e ad Alghero. Comunica facilmente in più lingue, ed intuitivamente riesce a cogliere il nucleo centrale di diverse culture senza compromettere la propria complessa identità. Il suo nome ricorda il suo luogo di nascita, e come le imperturbabili acque e le implacabili architetture senza tempo, la sua presenza emana una silente sicurezza da cui, a volte, traspare il tumulto ed il movimento incessante, sotto la superficie e dietro le facciate, che arriva sino alle sue fondamenta. Come Venezia, Serena Nono possiede una ricca eredità, ebraica e cristiana, sacra e profana, tradizionale e rivoluzionaria, superstiziosa ed illuminata, portando con sé la predilezione per le “grandi cose”. Come Venezia, deve sostenere sulle spalle il peso di un passato illustre, ma senza riposare su allori altrui, procede coraggiosa nella sua indipendenza per trovare un solido appiglio al presente, abbracciando di già il futuro. Come Venezia, riesce ad assimilare gli elementi essenziali di diverse sorgenti e correnti sia geografiche che culturali, mantenendo tuttavia l’unità e l’unicità.
Nella sua predilezione per la figura, Serena Nono rivela la sua affinità con tre correnti artistiche di inizio secolo: l’arte austriaca (Klimt, Schönberg, Kokoschka, Schiele, Gerstl, Faistauer, Kolig) – la Scuola di Londra (Bacon, Freud, Kossoff, Auerbach, Kitaj) e la tradizione figurativa veneziana (Music, Barbarigo). Mentre la sua insistenza sull’autoritratto espressivo la lega a Schönberg, Kokoschka, Schiele, Gerstl, la tendenza a superare il personale per evocare l’universale, produce una figura di luce che emerge dall’oscurità, la quale si ricollega piuttosto alla rappresentazione iconica di Music e Barbarigo. Inoltre la sua profonda penetrazione psicologica della condizione umana è in forte sintonia con Bacon e Freud. Il suo lavoro è compenetrato da un secolo di arte figurativa europea, eppure contiene una forte immediatezza ed urgenza, che nascono dalla volontà senza compromessi di dipingere dall’interno verso l’esterno, trattenendo nulla e rischiando tutto. Il suo è un dramma umano non mitigato da teatralità e allestimento. E’ verità, non verosomiglianza.
Lo stesso coraggio che ha permesso a Serena Nono di riconoscere ed accettare il lascito artistico dei suoi antenati, malgrado la ricerca del proprio cammino individuale, le ha dato la forza di rivelare completamente sè stessa nelle sue opere, cosciente che rappresentando sè stessa, può rappresentare il tutto, fintanto che c’è verità. Lei deve denudare la propria anima per trovarla, spingendosi al confine dove l’arte e lo spirito si incontrano. Così Serena Nono incarna la visione dell’artista espressa da Egon Schiele nel suo manifesto poetico del 1910: KÜNSTLER (Artisti) I SENTIMENTI PIU’ NOBILI SONO LA RELIGIONE E L’ARTE. LA NATURA E’ IL FINE – MA DIO C’E’, ED IO LO SENTO, FORTE, MOLTO FORTE, PIU’ FORTE DI TUTTO. Come Schiele, Serena Nono riconosce che nell’atto di ri-creare la Natura, si annuncia il Divino. Come Schiele, mentre è in prigione, si dedica alla rappresentazione di sedie, capi di vestiario, una brocca; oggetti piuttosto che figure, così anche Serena Nono ritrae sedie, scarpe, una brocca con la stessa organicità che si trova nelle sue figure umane. Non è per caso che questi oggetti d’uso comune si illuminino di vita e di significato: la tecnica usata nel dare colpi di luce, applicando la pittura in modo libero, con toni puri, spesso non mescolati tra loro rende gli oggetti animati.
Nelle ultime opere di Schiele, la carne diviene viva per mezzo di sprazzi di luce di colori puri e primari; le figure sono illuminate dall’interno. Serena Nono ottiene lo stesso effetto con una tavolozza di colori primari e secondari ricca e complessa, applicati a più strati fino a far sembrare le figure scolpite, grazie anche alla sua esperienza nella scultura. Le forme emergono da uno sfondo scuro come fasci di luce, ricordandoci l’arancia dipinta da Schiele durante la sua prigionia: LA SOLA ARANCIA ERA L’UNICA LUCE!. Per Schiele, in prigione, privato del contatto con la Natura, e quindi con Dio, l’arancia diventa simbolo della pienezza della vita, incarnando la potenzialità totale della vita stessa. In questo luogo Schiele è costretto a confrontarsi con l’oggetto essenziale della sua ricerca, con tutti i rischi connessi a ciò.
Annotò su di un acquerello che rappresenta tre arance: IL MIO CAMMINO CONDUCE OLTRE GLI ABISSI.
Il cammino di Serena Nono attraversa il paesaggio interiore dell’anima, accompagnandola oltre gli abissi, poiché anche lei, come Schiele aspira allo scopo più alto, rischiando tutto nella ricerca della verità.
– Victoria Martino
Victoria Martino, da Il paesaggio interiore, Ottobre 1999