Oltre il ritratto
di Annamaria Orsini

 

Era un pomeriggio, forse, di piena estate, perché il sole ingoiava tutto con la sua luce avida, una luce immobile da “controra” meridionale, quando sono entrata, per la prima volta, nello studio di Serena Nono. Su cavalletti, su tavoli o poggiate per terra erano piccole tele raffiguranti volti. Una galleria di ritratti, un universo di sembianze. Fisionomie riconoscibili, identificabili eppure entità; paradigmi dell’umano; oltre e dentro. Soprattutto donne; anzi “la donna”: il genere femminile, maturo di leggende, indagato in molte delle sue variazioni, in alcune delle sue possibilità; e, tra esse, ancora Serena (o forse sono tutte Serena ?).
L’essere donna, l’essere bambino, l’essere uomo. Ritrarre significa fermare una sembianza; volerla sottrarre, con un atto d’amore, alla ineluttabilità della mutazione. Ogni pennellata è conoscenza, ogni pennellata è sentimento: una termografia che, congelando i tratti, rivela palpiti sommersi, emozioni bisbigliate, urla, suoni, silenzi.

“Non recidere, forbice, quel volto…”

E se le figure di Serena Nono, figure che custodiscono il segreto del bacio e del grido, sembrano protendersi nello spazio imprendibile che le ha generate e afferrarlo per un attimo e in quell’attimo “esserci”, esserci finalmente e …distendersi , dis-tendersi, o a volte racchiudersi, raccogliersi a godere il bacio e il grido appunto; i volti, generati per autogenesi da terre, acque e sale, custodiscono il segreto dell’attesa.
Il segreto, secondo Heidegger, è ciò che “preserva l’essere nella sua autenticità”, e quelli di questi volti sono segreti accennati, appena dischiusi, ma mai del tutto svelati. Una riservata segretezza, un’impalpabile afasia, un’incostante leggerezza dell’essere, ma anche uno “stare”, un essere spavaldo nella vita e nella storia.
C’è una sospensione, una mancanza, in questi volti, che li rende subito partecipi di noi, del nostro destino di monadi che si guardano nell’altro per conoscersi e riconoscersi. Essi hanno un’autonomia, un’essenzialità che li qualifica; intenzioni dell’essere sono presenze che non richiedono un “corpo” per esistere.

“Questo lento giro d’occhi che ormai sanno vedere”

Occhi chiusi, socchiusi, aperti: il riguardare basso della gallerista Gillian Adam; una ragazza londinese che ci divora con i suoi occhi di un liquido color laguna; lo sguardo acuto e beffardo di Hanif Kureishi; quello incantato di una bambina fermato in volo su un fondo d’ottanio; il fissare penetrante degli occhi bruciati della stessa Serena che si stempera sulle velature di un incredibile rosa Tiepolo; l’impenetrabile riposo di una ragazza dalla chioma arrossata da vapori di cinabro; il dormire immoto di un volto dal sorriso africano.

“Potessero le mie mani sfogliare la luna!”

Mani giunte, congiunte, intrecciate; mani come artigli che ghermiscono libri; mani che racchiudono o generano volti; mani delicate, come quelle di Pietro, che disegnano leggere; mani che sfiorano omeri o suonano spalle come arpe, mentre una Antigone bruna ci offre una spalla che è candida lavagna dove scrivere o con la quale celare una colpa, nascondersi.
L’intimità sfiorata, e resa perciò più vulnerabile, si sottrae, si ritira oltre, oltre il respiro della segretezza a creare un rifugio dove il tempo dell’Io e le maglie slabbrate dell’esistenza si nascondono e si condensano.

“Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture ?”

 

Annamaria Orsini

 

 

Oltre il ritratto ANNAMARIA ORSINI Settembre 2002,
dal catalogo Ritratti di Serena Nono, galleria Traghetto, Venezia